LA VITA TRA LE MANI

La vita tra le mani. Un racconto dei mestieri perduti. O quasi. Il tempo andato captato dalla fotografia. Memoria per il presente e ancor più per il futuro.
Un libro di foto che racconta quattro mestieri che se non sono spariti, si sono trasformati tanto da perdere il carisma che li ha caratterizzati fino a quale lustro fa. Lo ha realizzato, con il contributo del Gal DaunOfantino, Angelo Torre, un professionista dell’obiettivo che alla perizia di manovrare le macchine fotografiche, unisce la sensibilità, intellettuale e operativa, propria dell’artista di rango.

Il pregevole volume sarà presentato sabato 5 prossimo alle ore 19, nell’Auditorium comunale dei Celestini, presenti Luigi Angelillis, presidente del CDO Puglia, Luca D’Errico, Presidente del Gal DaunOfantino, Matteo Di Mauro, segretario generale della Camera di commercio di Foggia, e naturalmente l’autore. Una mostra delle fotografie sarà allestita nel medesimo Auditorium.
“Tutto il fascino del passato sta qui, nella normalità dell’ora presente”, annota Torre, origini siciliane, da trent’anni sipontino acquisito, che vanta un palmares di riconoscimenti di tutto riguardo ricevuti in Italia e all’estero.


“La poetica di un’arte inconsapevole”, raccontata attraverso un centinaio di fotografie. Gli “scatti” fermano il momento il cui il passato della nostra civiltà diventa presente tra le mani operose di calatafari, sarti, agricoltori, falegnami. Torre nelle sue immagini che trascendono l’esteriorità per scavare nei sentimenti dei protagonisti, fissa “un presente fatto di oggetti concreti, aghi, trattori, barche, pialle: testimoni che passano di mano in mano, giorno dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo secolo”.
“Molte delle conoscenze che abbiamo del passato si devono alla fotografia”, osserva Luca D’Errico evidenziando come “questo progetto si inserisce nelle finalità del Gal”.
Ma non solo fotografie. A completare l’opera di minuziosa e delicata ricerca frugando nei cantieri, nelle botteghe, nei campi, Angelo Torre ha riportato, collaborato in questa certosina opera da Teresa La Scala, i dialoghi intercorsi durante le visite. Una preziosità anche questo lavoro di ricostruzione “dal vivo” dei mestieri che sfumano inesorabilmente e con essi un tratto di storia dei luoghi, dei costumi, delle persone.
“Il cantiere prima stava dall’atra parte del porto qui era tutto palude e fanghiglia”, raccontano Antonio e Alfredo Rucher costruttori di pescherecci. “Avevo cinque anni, papà mi portava al cantiere in bicicletta. Mi ricordo i suoi rimproveri quando facevo gli incastri al contrario o quando mi ostinavo a non seguire i consigli dei grandi”.
“Sono cinquant’anni che sto qui, sono entrato in questa bottega nel ‘55”, svela Silvio D’Amato, falegname. “Facevo la quinta elementare. A quei tempi si andava a scuola e allo stesso tempo dovevi imparare un mestiere: si faceva mezza giornata a scuola e mezza giornata in bottega”.
“Nel ’58 sono andato a cucire a Milano”, ricorda Saverio Magno, liceale mancato (“per un incidente mio padre non potè più lavorare”), sarto raffinato. “Sono entrato nella sartoria della Scala a lavorare come frachista: facevo frac, tight, smoking per i membri dell’orchestra ma anche per registi e attori famosi. Ho conosciuto Zeffirelli, la Callas, la Tebaidi, Mirella Freni e un